IL GIOVINETTO DI MOZIA
Molti anni fa a Venezia, in occasione dell’inaugurazione della Mostra sui Fenici a Palazzo Grassi, vidi esposta una statua che attirò la mia attenzione. Era il Giovinetto di Mozia. Un bellissimo esemplare di giovane greco dalle forme armoniose che, imponente, dominava la sala. Era così affascinante che rimasi incantata. Mi dissero che la statua era stata trovata in uno specchio di mare molto suggestivo, nei pressi di Marsala. Per caso, dopo anni feci, un viaggio in Sicilia. Era un caldo pomeriggio di una primavera siciliana, dal pullman che percorreva la strada provinciale, vedevo nitide, sul mare di ponente, tre isolette: Isola Lunga, Mozia e Santa Maria che, insieme, esaltavano una laguna denominata lo Stagnone. Il luogo, appunto, dove era stata ritrovata la statua del giovinetto greco. Sulla terraferma si vedevano decine di saline attive, con ai bordi cumuli di sale e tanti mulini ristrutturati, funzionanti, che, con il lento movimento impresso dal vento, sembravano lancette di un orologio che percorrevano lo stesso quadrante scandendo secoli differenti. Sullo specchio d’acqua, centinaia di barche immobili come pennellate di un artista sparse qua e là: nel contesto del paesaggio sembravano testimoni di un’antica storia di uomini. Rimasi incantata da tanta bellezza. Ci imbarcammo su un barcone che ci portò a Mozia. Dopo aver fatto il giro dell’isola tra agave e fichi d’india, oleandri e ginestre, visitammo il museo e rividi la statua del giovinetto greco di cui mi ero innamorata a Venezia. In questo luogo, fatto apposta per sedurre gli occhi, la mente e l’immaginazione, l’impatto con la statua fu più eccitante. Tornata a Parigi, parlai ai miei amici del magnifico viaggio. Anche loro affascinati dal mio racconto vollero visitare quell’oasi di mondo meraviglioso e incontaminato attorno a Marsala. E il racconto del nostro viaggio, in altre occasioni, divenne uno dei film più belli della nostra vita.
Elio Licari