Paolin è autore anche di Una tragedia negata (Maestrale, 2008), uno studio sulla narrativa italiana ispirata agli anni di piombo, di Il mio nome è Legione (Transeuropa, 2009), di Lo stato dell’arte (Autori Riuniti, 2019), di Anatomia di un profeta (Voland, 2020), la sua ultima fatica letteraria. Un artista poliedrico che opera su più fronti che lo vedono collaboratore di alcuni quotidiani come Il Corriere della Sera e riviste culturali come La ricerca della Loescher; è stato insegnante di scrittura creativa presso la Scuola Holden di Torino e la Bottega di Narrazione a Milano. Fa parte di Piccoli maestri, un’associazione voluta da Elena Stancanelli che porta gli scrittori nelle scuole a parlare dei libri che amano. Recentemente, in collaborazione con Lettera Zero, ha dato origine e coordinato Ferri del mestiere, una serie di incontri (attualmente sono sette), una home session dedicata all’importanza di insegnare scrittura, e che ha visto la partecipazione attiva di autori come Dario Voltolini, Raul Montanari, Vanni Santoni, Domitilla Pirro, Ivano Porpora e Alessandra Minervini.A chi è rivolto Ferri del mestiere, quali sono gli obiettivi e le finalità? Cosa si aspetta?
Ferri del mestiere nasce con l’idea di usare il dialogo come momento di riflessione tra gli addetti ai lavori e come strumento utile per chi scrive o vuole iniziare a farsi un’idea di cosa sia la scrittura. L’idea di base è di comunicare una esperienza e un sapere, è un esperimento di maieutica.
In uno degli incontri, ha affermato che siamo bestie novecentesche e non capiamo più il linguaggio. Cosa significa scrivere nel 2022, cosa è cambiato da quando ha iniziato a scrivere, cosa è rimasto e cosa è andato perduto e qual è la relazione tra scrittura, cultura e società? La sua scrittura risente dello scorrere del tempo, dei tempi che cambiano, dell’uso della tecnologia?
Fatico a capire certi modi attuali di comunicare e di concepire arte. Faccio un esempio: la musica trap, io proprio non ne capisco i codici linguistici e artistici, e credo che questa fatica derivi dal fatto che io ragiono in termini novecenteschi. Il romanzo è un vecchio animale del secolo scorso e non è forse un caso che l’ultima grande rivoluzione stilistica del romanzo l’abbiamo vissuta circa 100 anni fa con l’Ulisse e i modernisti: tutto ciò che è venuto dopo è una semplice modificazione di ciò che Joyce, o la Woolf avevano intravisto. Certamente l’uomo rimane un essere poetico che racconta storie e si racconta storie per certificare la sua esistenza, non ho idea se la forma di queste storie sarà il romanzo, ma temo di no. La tecnologia c’è, ci è utile, ci serve, io la uso, credo che comunque che abbia cambiato il nostro modo di pensare e di vedere il mondo.
Da dove trae ispirazione, quali sono gli ingredienti di una storia e chi sono i protagonisti dei suoi libri? Ha un autore che le ha fatto da mentore?
L’ispirazione è un concetto difficile da sbrogliare in poche parole. Diciamo che molti immaginano lo scrittore come ‘uno’ che di colpo viene fulminato da una idea che lo attraversa e lo costringe a scrivere. Non posso parlare per gli altri autori, ma per me non è così. L’ispirazione è figlia profonda della noia, della scrittura e della lettura quotidiana, delle chiacchiere al bar, delle cose che accadono e che, appunto, giorno dopo giorno metti su carta e lentamente prendono forma. Gli ingredienti di una storia possono essere vari. Don DeLillo scrive un romanzo mettendo in scena un personaggio che decide di tagliarsi i capelli, Manzoni due contadinotti che vogliono sposarsi e non possono per via di un cattivone. Credo che l’ingrediente sia una immaginazione altra rispetto alla realtà, un romanzo è tale se si oppone alla realtà. I protagonisti dei miei libri, oltre a essere funzioni narrative del testo, sono di solito maschi e femmine sui 40 anni con un complesso legame con il male e il bene, pieni di colpe e di peccati, che sperano nella Grazia. Sono sostanzialmente dei personaggi biblici. Ho avuto alcuni maestri mentori, a cui ho voluto bene e che ho dovuto dimenticare per andare avanti con la mia scrittura.
Qual è il pubblico che la segue, che tipologia di lettore immagina mentre scrive?
Non ho mai immaginato il mio pubblico. Credo di scrivere romanzi complessi. Anatomia di un profeta, per esempio, riscrive il libro di Geremia ed è un romanzo corredato da note, diagrammi disegni, poesie e molto altro ancora. Ecco, posso dire che il lettore di un mio libro deve essere una persona che non legge per essere consolato, che non legge perché vuole passare il tempo. Quindi so di rivolgermi a un piccola comunità di persone e spero di incontrare i loro gusti.
Come ha vissuto i giorni dello Strega, cosa è cambiato nella sua vita?
Io credo che non sia l’autore ma il testo a partecipare al Premio Strega. E devo dire che il mio romanzo ne ha tratto vantaggio per quanto riguarda visibilità, spazi sui giornali e ha raggiunto molti più lettori di quanti immaginassi o sperassi. Per quanto riguarda me, dopo un iniziale ottovolante (le presentazioni, le interviste, etc etc etc), il Premio si è trasformato in un ricordo che sbiadisce. Rimangono alcune persone incontrate in quei giorni, ma quello non ha nulla a che vedere con la letteratura.
Rosalba Pipitone
Sul canale Youtube di Lettera Zero, i primi 7 incontri di Ferri del mestiere:
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