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sabato, Novembre 23, 2024

Donne in magistratura, verso la fine di uno stereotipo

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La data è storica, e anche se quel 9 febbraio 1963 sembra lontanissimo, è ricordata per aver riconosciuto il principio di uguaglianza tra generi per l’accesso in magistratura. A distanza di quindici anni dall’entrata in vigore della Costituzione (1 gennaio 1948), l’articolo 1 della legge 9 febbraio 1963 n.66, in seguito all’abrogazione della legge 1176 del 1919 che le escludeva da tutti gli uffici pubblici che implicavano poteri giurisdizionali, l’esercizio di diritti e di potestà politiche, o che riguardavano la difesa militare dello stato, recita: “La donna può accedere a tutte le cariche, professioni e impieghi pubblici, compresa la Magistratura, nei vari ruoli, carriere e categorie, senza limitazione di mansioni e di svolgimento della carriera, salvi i requisiti stabiliti dalla legge”. Un percorso lungo e tortuoso che tuttavia non ha visto del tutto la completa equiparazione perché, è vero che oggi le donne in magistratura sono oltre la metà, ma è anche vero che, dagli incarichi direttivi fino ai membri del Consiglio superiore della Magistratura, il numero di uomini è nettamente superiore: le donne titolari di uffici direttivi sono 23 (5,4%) contro 421 uomini; le donne titolari di uffici semidirettivi sono solo 51 (7,6%) contro 665 uomini; in Procura Generale solo 1 (2,5%) su 39 uomini e le donne che svolgono funzioni di legittimità in Corte di Cassazione sono 16 (6,1%) contro 260 uomini. In buona sostanza, occupare ruoli di leadership e di forte potere decisionale, è ancora appannaggio degli uomini a prescindere dalla formazione e carriera. In Sicilia, paradossalmente, il quadro generale sembra essere migliore, sono tante le magistrate che scelgono di rischiare la vita in nome del più alto valore della giustizia e Caltanissetta ne è un caso emblematico: dal 2018 Lia Sava è la prima procuratrice generale nella storia della magistratura siciliana, incarico accettato con forte senso di responsabilità e che nel 2020 ha dato inizio alla requisitoria del processo ‘Capaci bis’. È donna, in carica dal 2013 al 2021, l’ex capo della squadra mobile di Caltanissetta Marzia Giustolisi. Nel 2020 si insedia, dopo una breve udienza formale dinanzi alla Prima sezione civile del Tribunale di Palermo, il nuovo procuratore aggiunto Laura Vaccaro che aveva ricoperto il ruolo di Procuratore capo del Tribunale per i minori a Caltanissetta. E ancora Roberta Buzzolani, procuratore insediatasi a Sciacca nel 2016 e che è stata componente della Dda palermitana dal 2002 al 2012; Marzia Eugenia Sabella, dal 2017 procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, dal 2001 fu incaricata di occuparsi di indagini di mafia e coordinò la cattura di Bernardo Provenzano; Francesca Dessì, sostituto procuratore della Dda di Palermo; Annamaria Picozzi, procuratore aggiunto a Palermo che per anni si è occupata di fenomeni mafiosi; Claudia Pasciuti, dal 2015 in magistratura e dal 2019 alla Dda nissena, ed è sua la richiesta di pochi giorni fa, a 10 anni di reclusione nel corso della sua requisitoria nel processo che si celebra in Corte d’Appello a Caltanissetta e che vede come imputata la collega Silvana Saguto con un unico legale, donna anch’ella, Renata Accardi. E tante altre donne che dimostrano che, parafrasando Giovanni Falcone, lo stereotipo è un fenomeno umano che ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine, e la strada sembra ormai essere tracciata verso uno sguardo alla giustizia più limpido, perché la presenza delle donne in magistratura ha colmato un sapere che declinava da secoli un’unica storia, quella della discriminazione, della prepotenza, del pregiudizio e del più becero maschilismo.

Rosalba Pipitone

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