Fra pochi giorni, esattamente il 5 maggio, ricorre il cinquantesimo anniversario della strage di Montagna Longa dove, in uno dei più grandi disastri della storia dell’aviazione italiana, persero la vita 7 membri dell’equipaggio e 108 passeggeri tra cui il sostituto procuratore generale di Palermo Ignazio Alcamo il quale aveva disposto il soggiorno obbligato per Francesco Vassallo, costruttore legato al Sacco di Palermo, e Antonietta Bagarella, poi moglie di Totò Riina; la segretaria di redazione de L’Ora Angela Fais, collega e amica di Giovanni Spampinato che morirà qualche mese dopo, la notte del 27 ottobre 1972, sotto i colpi di sei proiettili esplosi da due pistole diverse; il comandante della Guardia di Finanza di Palermo, Antonio Fontanelli; il regista Franco Indovina che all’epoca raccoglieva materiale documentale per un film su Enrico Mattei, l’ex medico di Salvatore Giuliano, Letterio Maggiore, figura esterna esterno del processo sulla Strage di Portella della Ginestra; il giornalista e politico del Partito Comunista Italiano, Alberto Scandone.
Era la sera del 5 maggio 1972, quando il DC8, volo Alitalia AZ 112, decollò da Roma Fiumicino diretto a Palermo Punta Raisi –oggi Falcone e Borsellino. Con ottime condizioni meteo, senza vento, dai cieli che furono gli stessi dell’altra strage del DC9 di Ustica, l’aeromobile non atterrerà mai a Punta Raisi schiantandosi alle 22:20 e a oltre 900 metri di quota, sulla Montagna Longa, territorio tra Cinisi, Carini e Capaci. Non ci sarà nessun sopravvissuto, si conteranno 98 orfani e 50 vedove.
La causa della sciagura, secondo gli atti del processo ufficiale, fu attribuita a un errore umano liquidato come “errore del pilota” per non aver seguito le linee guida dei controllori di volo.
Buona parte dei parenti delle vittime non ha mai creduto a questa verità tentando, invano, di riaprire il processo. Alcuni testimoni riferirono di aver visto l’aereo già in fiamme prima dello schianto e Maria Eleonora Fais, sorella di Angela segretaria del quotidiano L’Ora di Palermo morta nell’incidente, fu in grado di trovare dopo molti anni, il rapporto del vicecapo della polizia Giuseppe Peri secondo il quale l’aereo fu colpito da proiettili durante un bombardamento. Peri attribuiva la responsabilità a sovversivi di destra in collaborazione con alcuni mafiosi. Tre giorni dopo l’incidente, si sarebbero tenute le elezioni politiche in cui era prevista una forte ascesa della destra. L’Associazione Nazionale Piloti Aviazione Commerciale (ANPAC) si schierò dalla parte dei piloti, rifiutando la possibilità di un loro errore per la lunga esperienza che avevano.
A sostegno delle diverse tesi rispetto alla versione del processo ufficiale sulla causa che portò il velivolo a schiantarsi, un libro del professore Rosario Ardito Marretta, docente di Aerodinamica e dinamica dei fluidi dell’Università di Palermo: secondo lo studioso, l’incidente avvenne a causa di un sabotaggio del velivolo. Una conclusione raggiunta attraverso complesse equazioni matematiche che hanno permesso a Marretta di verificare le sue tesi. Il libro, che in Italia non ha trovato nessun editore, è stato pubblicato qualche mese fa da Cambridge Scholars Publishing col titolo di “Unconventional Aeronautical Investigatory Methods. The Case of Alitalia Flight AZ 112”.
Marretta parte da alcune premesse: l’inchiesta giudiziaria si accontentò di prendere atto che la scatola nera dell’aereo era guasta e dunque inservibile ai fini di scoprire cos’era accaduto negli ultimi minuti di volo dell’AZ 112, schiantatosi intorno alle 22.24. Dal manuale d’uso del DC8, si evince che questo tipo di guasto (1A, la categoria più alta di gravità) costringe a terra l’aereo. In più, il nastro della scatola nera fu trovato spezzato e non aveva registrato le ultime sette ore di volo. Ciò significa che gli equipaggi, almeno cinque, che si erano alternati ai comandi e non si erano accorti del mancato funzionamento dello strumento. Maretta sottolinea come l’I-Diwb, l’identificativo del velivolo, fosse stato sottoposto a manutenzione il 30 aprile, cioè cinque giorni prima dell’incidente, e che quelle sette ore mancanti di registrazione siano proprio il cumulo dei tempi di volo del DC8 fino al disastro. Da qui l’ipotesi del sabotaggio, realizzato in modo da impedire ai piloti di accorgersi del guasto.
Un altro elemento a sostegno della tesi di Marretta scaturisce dall’osservazione del suolo su cui l’aereo si schiantò e dagli esperimenti effettuati in laboratorio bruciando il cherosene su una superficie che riproduce quella di Montagna Longa. I resti dell’aereo mostrano la parte destra dell’impennaggio di coda particolarmente danneggiata dalle fiamme, mentre la parte sinistra della stessa struttura non ha segni di bruciatura. Nei paraggi della sciagura, inoltre, alcuni oggetti (cappelliere, sedili, pneumatici del carrello) non sono stati sfiorati dal fuoco. Le 18 tonnellate di carburante imbarcato prima del decollo non si trovano, non sono sul terreno, che a temperature intorno agli 800 gradi avrebbe subito un processo di vetrificazione, non sarebbe, infatti, cresciuta più l’erba. Dunque l’energia dell’esplosione non è quella prodotta da un carico così cospicuo di carburante, che secondo i calcoli di Marretta è, invece, fuoriuscito dal serbatoio nella fase finale del volo attraverso un foro vicino alla manichetta di espulsione del cherosene, sull’ala destra, che potrebbe essere stato causato –sempre secondo Marretta- da una micro carica posta in un piccolo incavo. Le simulazioni al computer porterebbero a queste conclusioni che secondo lo studioso non lasciano dubbi.
Sulla Montagna Longa è stata eretta una enorme croce simbolo della sciagura e a memoria delle vittime e di certo, dopo cinquant’anni tra ombre e misteri, tra le svariate teorie e pseudo teorie, la grande assente è sempre una: la verità.
Rosalba Pipitone