Nucleare sì, nucleare no? Con un solo pro che vede la riduzione dipendenza da petrolio e gas, e certamente non si possono tralasciare le tragiche conseguenze in caso di incidenti – i disastri di Černobyl e Fukushima insegnano, si ritorna a discutere sugli investimenti sul nucleare soprattutto dopo il caro bollette conseguente alla guerra in Ucraina.
Secondo quanto emerge dal rapporto del think tank internazionale World Nuclear Industry Status Report, si continua a investire nella tecnologia nucleare solo per un legame che lo unisce al settore militare: i costi aumentano sproporzionatamente per la manutenzione dei vecchi impianti, per lo smaltimento delle scorie e per le misure di sicurezza. Di contro, al declino del nucleare che fa segnare un incremento globale della potenza nucleare solo dell’1%, aumentano gli investimenti sulle rinnovabili che segnano un 35% sull’energia solare (termica, fotovoltaica e concentrata) e un 17% su quella eolica.
Il 2017 è stato l’anno clou a livello mondiale che ha visto la Cina in cima alle classifiche con 86,5 miliardi di dollari destinati esclusivamente al fotovoltaico cinese, grazie ai quali la nazione ha installato 56 GW di nuova capacità, seguita dagli Stati Uniti, con 56,9 miliardi di dollari. Un posto d’onore anche per l’Argentina, dove gli investimenti sono cresciuti del 777% per cento (raggiungendo i 1,8 miliardi di dollari). Seguono il Messico con più 516% (6,2 miliardi di dollari) e l’Egitto in crescita del 495% (2,6 miliardi). Per quanto riguarda l’Europa, l’Italia rappresenta l’11% di tutta l’energia rinnovabile consumata nell’Unione Europea, posizionandosi al terzo posto nell’impiego di fonti rinnovabili in Europa, subito dietro a Germania (17%) e Francia (13%).
Le FER (Fonti Energetiche Rinnovabili) rappresentano il 17,41% di quota complessiva di consumi energetici, a fronte di un totale dei consumi di 121,1 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio). Il contributo delle fonti rinnovabili è raddoppiato in dieci anni, passando dai 10,7 Mtep del 2005 ai 21,1 Mtep del 2016. Se si tiene conto che ogni Mtep da fonti rinnovabili è un milione di tonnellate di petrolio bruciato in meno, lo scorso anno abbiamo evitato l’impiego di 21 milioni di barili di petrolio.
L’Italia raggiunge così, in parte, gli obiettivi al 2020 secondo la direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo, recepita in Italia con il decreto legislativo n. 28 del 3 marzo 2011, che ha assegnato al nostro Paese due obiettivi nazionali vincolanti in termini di quota dei consumi finali lordi di energia coperta da fonti rinnovabili (le cosiddette FER) al 2020: raggiungere una quota dei consumi finali lordi (CFL) complessivi di energia coperta da fonti rinnovabili almeno pari al 17%.
Nel 2022, secondo il rapporto “Comunità rinnovabili 2022” presentato al Maxxi di Roma, la buona notizia è che la potenza efficiente lorda delle fonti rinnovabili elettriche è arrivata nell’ultimo anno a quota 60,8 GW, arrivando quasi alla stessa potenza delle fossili (62,8 GW). Di contro, secondo il dossier del “Cigno verde”, dei 60,8 GW sono presenti almeno 1,35 milioni di impianti da fonti rinnovabili, di cui appena 1,35 GW installata nel 2021 tra idroelettrico (+82 MW rispetto al 2020), eolico (+354 MW) e fotovoltaico (+541 MW), con geotermia e bioenergie sostanzialmente ferme.
Un “passo di lumaca” dovuto all’ostruzionismo per il rilascio delle autorizzazioni per la realizzazione dei progetti che la stessa Confindustria ha stimato pesare sulle famiglie e sulle imprese che pagano le bollette elettriche per «circa 600 milioni di euro all’anno», ancora prima che la crisi delle bollette si inasprisse a causa dell’invasione russa in Ucraina. Per come stanno messe le cose, le rinnovabili appaiono utopia di un futuro molto lontano, con l’eterna domanda di sempre “Nucleare sì, nucleare no” riportando in auge un probabile investimento.
Rosalba Pipitone