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giovedì, Novembre 21, 2024

PNRR, la panacea di non tutti i mali

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È una delle sigle più ostiche da pronunciare, PNRR, acronimo di Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e sembra essere diventato la panacea di tutti i mali dal potere miracoloso comparendo a ogni dibattito politico e non. Il Piano, elaborato con agli input dati dal Next Generation EU con l’obiettivo di definire delle misure coerenti relative a riforme e investimenti per il periodo 2021-2026, risolverebbe, nella carta e in teoria, problemi che vanno dai grandi problemi strutturali del Paese a quelli delle piccole amministrazioni, della giustizia, digitalizzazione e innovazione, dell’inclusione sociale, della transizione ecologia e chi più ne ha più ne metta. Il primo Paese a beneficiarne, nemmeno a dirlo, è l’Italia con 191,48 miliardi di euro, l’Europa ci ha assegnato la maggior parte dei fondi messi a disposizione dei Paesi membri e certamente rappresentano un’occasione imperdibile e irripetibile. Altri 13 miliardi vengono da React EU destinati alla ripresa economica, più altri 30,6 miliardi di risorse del Fondo Complementare per un totale di 235,12 miliardi di euro più, ancora, 150 miliardi del FSC (Fondo per lo Sviluppo e la Coesione) e i Fondi strutturali della programmazione europea 2021-2027.

Bisogna spenderli, e lo dicono mettendoci addosso pure una certa pressione con scadenze temporali, pena la perdita dei pregiati finanziamenti dopo anni di dispute sulla riduzione della spesa pubblica perché lo spettro da combattere è sempre il debito pubblico. Nella corsa all’accaparramento, ci si dimentica persino di un “piccolissimo” dato: una parte del PNRR è debito, dei 191,48 miliardi, 122,6 sono prestiti. In buona sostanza, sembra che ridurremo il debito pubblico indebitandoci con il P.N.R.R., un circolo vizioso mortale a cui pare non esserci via di scampo.
“Con i fondi del PNRR, l’Italia incassa più di quanto versa alla Ue”, così titolava qualche mese fa il Sole 24 Ore, decantando i grandi meriti del PNRR, in particolare i circa 9 miliardi di sussidi incassati ad agosto, insieme a circa 16 miliardi di prestiti. Se la matematica non è un’opinione ma di certo in questo caso è un ossimoro, non si capisce bene cosa esulti anche Confindustria che, presa dall’enfasi ma anche dall’amnesia totale, dimentica che esultare per l’incasso di un mutuo, equivale a dimenticare che ci sarebbero da pagare le rate di rimborso.

Prima del bilancio dell’Unione Europea, da poco meno di 1.100 miliardi in sette anni, non era previsto l’indebitamento. Per ogni anno, le entrate dovevano uguagliare le uscite. Tutti i Paesi contribuivano alle entrate Ue in proporzione al rispettivo PIL e ricevevano sussidi secondo una diversa ripartizione. Questa mancanza di corrispondenza tra entrate e uscite, ha portato ad avere alcuni Paesi contributori netti (l’Italia al terzo posto) e altri beneficiari netti. Il NGeu – bilancio straordinario da 750 miliardi tra sussidi e prestiti – si è aggiunto a quello ordinario e prevede che la Ue possa finanziare le uscite a favore degli Stati membri con prestiti, assunti emettendo titoli sul mercato.

In particolare il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza (RRF), cuore del NGEU, prevede di erogare 312,5 miliardi di sussidi e 360 miliardi di prestiti. Nessuno, allo stato attuale delle cose, è in grado di dire quanti contributi dovrà versare l’Italia a fronte dei 69 miliardi di sussidi, per determinare il saldo netto ma dovrebbe essere lampante che l’Unione Europea non regala nulla, se dà, riprende e in genere con gli interessi e con saldo negativo per il nostro Paese.

Rosalba Pipitone

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