“Due cose hanno soddisfatto la mia mente con nuova e crescente ammirazione e soggezione e hanno occupato persistentemente il mio pensiero: il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me […] La prima comincia dal posto che io occupo nel mondo sensibile esterno, ed estende la connessione in cui mi trovo, a una grandezza interminabile, con mondi e mondi, e sistemi di sistemi; e poi ancora ai tempi illimitati del loro movimento periodico, del loro principio e della loro durata. La seconda comincia dal mio io invisibile, dalla mia personalità, e mi rappresenta in un mondo che ha la vera infinitezza, ma che solo l’intelletto può penetrare, e con cui (ma perciò anche in pari tempo con tutti quei mondi visibili) io mi riconosco in una connessione non, come là, semplicemente accidentale, ma universale e necessaria.” Il pensiero riportato è di Immanuel Kant, parte della conclusione del saggio Critica alla Ragion pratica. Il filosofo indaga suo ciò che sia morale per un individuo, tenuto conto che conosce lo spazio e il tempo -cielo stellato- in cui vive ed è il dovere ma non per ottenere un riconoscimento o per timore di una sanzione, bensì per possedere un’etica del dovere. Nel belpaese, precedentemente dal divano, adesso da un ombrellone, si dibatte sull’Ucraina di quale comportamento sia corretto o errato, se inviare o meno le armi a Kiev, ribadendo tediosamente che c’è un aggressore e un aggredito, che ad oggi spazio per una diplomazia che porti quantomeno a un”cessate il fuoco” è pari a zero, il dovere è rispettare la volontà degli ucraini.
Vittorio Alfieri