Stalking, mobbing, body-shaming, sono termini e concetti che non andrebbero usati superficialmente perché chi ne è vittima ha un vissuto doloroso sconosciuto ai più, spesso nascosto anche ai familiari più stretti. Le vittime di questa tipologia di reato sono soggette a un grande stress psicologico, spesso si isolano per i forti sensi di colpa e vergogna, vivono intensi stati d’ansia e di angoscia, manifestano disturbi del sonno, se non quando il quadro sfocia in disturbo post-traumatico.
La storia che stiamo per raccontarvi è una delle più terrificanti, abbiamo ascoltato la testimonianza con non poche difficoltà perché è doloroso anche ricordare, parlarne, trovare il coraggio di non abbassare mai la testa e la guardia come solo le donne sanno, trovare il coraggio di denunciare, per assicurare un futuro più sereno per se stessi e per quello che è l’amore primario di ognuno, i figli.
Lei è Carmen Di Vincenzo, cinquantaquattrenne catanese, operaia forestale precaria da 35 anni, sposata, due figli.
Anche se i primi tempi della convivenza con il marito erano in un certo qual modo idilliaci, Carmen scoprirà successivamente il suo lato oscuro, molto oscuro.
Si accorse che il marito la tradiva (le venne trasmesso l’HPV, il papilloma virus) ma dell’uomo, per il timore di essere lasciato dalla moglie -perché Carmen aveva veramente intenzione di lasciarlo- venne fuori ben presto il suo essere padre-padrone, oltre che la sua personalità narcisistica.
Iniziò per Carmen il calvario che la vide vittima di violenze fisiche e psicologiche dentro e fuori le mura domestiche.
Carmen cercò di reagire e di trovare un modo meno doloroso per i suoi figli per andar via di casa, ma inizialmente riuscì a fare poco.
Il marito padre-padrone non si rassegnava e la perseguitava seguendola ovunque andasse facendola seguire anche dagli amici.
Nonostante ciò, Carmen aveva una vita sociale, era ed è apprezzata e stimata dai colleghi, faceva l’organizzatrice di eventi nel territorio dove viveva. ll padre-padrone la rincorreva insultandola pubblicamente dandole della poco di buono.
Carmen trovò il coraggio e forza di reagire, una sera si defilò prendendo la scusa di dovere andare in bagno in un locale pubblico, prese l’auto, caricò i figli, andò a casa a prendere i documenti e tutto ciò che serviva, e fuggì via dormendo tutta la notte in auto. Trovò ospitalità nelle prime ore dell’alba presso alcuni parenti: per la prima volta trovò la forza di raccontare tutto. Carmen affittò una casa nel paese di origine e vi si trasferì con i propri figli, ma tre giorni dopo si trovò davanti il marito padre-padrone che la supplicava di tornare con lui; Carmen prese una scusa asserendo di volere rifletterci su.
Inizia per Carmen il secondo calvario quando il marito intuì che la donna non sarebbe tornata sui propri passi.
In una settimana perse ben 15 kg.
Per un banalissimo episodio burocratico (cambio intestazione assicurazione auto), Carmen e il marito si trovarono faccia a faccia per firmare i documenti. L’impiegata notò qualcosa di strano negli atteggiamenti dell’uomo, lo mandò via e con una scusa trattenne lei. Se non che, quando Carmen cercò di rientrare in macchina per andar via, se lo trovò davanti come sbucato dal nulla, ed esplose la violenza dell’uomo. Iniziò con sputi e insulti bloccandole lo sportello dell’auto, vani furono i tentativi di farlo ragionare.
L’uomo, accecato dall’ira, le batté la testa contro il cruscotto, le diede ripetutamente pugni in testa, le strappò i capelli.
Carmen riportò lesioni a un occhio e fratture alla mano, tant’è che pensò che fosse arrivata la sua ora. Con la forza della disperazione e pensando soprattutto ai propri figli, cominciò a suonare il clacson dell’auto una prima volta, ma venne bloccata. Il tentativo andò a buon fine la seconda volta quando l’uomo notò qualche movimento e riuscì a fuggire.
Carmen successivamente venne minacciata con un coltello e tenuta in ostaggio per due ore.
Non raccontiamo altri episodi gravissimi per rispetto dei figli, e perché Carmen era veramente provata nel ricordare e raccontare tutto ciò.
Carmen denunciava e riferiva ai Carabinieri, ma trovò scuse come “non c’è nessuno che possa venire in suo aiuto”.
Non si perse d’animo, si rivolse a un buon avvocato, e cinque anni dopo iniziò il processo che vide l’uomo condannato con una sentenza passata in giudicato a 18 mesi di reclusione, 5 mila euro, le vennero riconosciuti risarcimenti per danni morali, fisici e psicologici.
Tutto è bene ciò che finisce bene? No.
Perché Carmen è pure vittima di mobbing che, ricordiamo, è anch’esso reato, e in generale è reato se vengono causate lesioni personali, per come recita l’articolo 582 del Codice Penale secondo cui “Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”.
Successivamente agli episodi di stalking, si trasferì da Linguaglossa a Giarre.
Il 14 aprile del 2020 subì un intervento di mastectomia bilaterale per un tumore alle mammelle, per tal ragione fece richiesta e ottenne invalidità civile al 100%, compresi i benefici della legge 104.
Il 20 settembre dello stesso anno, pochi mesi dopo l’intervento, essendo una 151nista, per non perdere il lavoro, chiese la reintegrazione pur avendo presentato i certificati di idoneità con limitazioni per cambio mansione dato che avendo fatto cicli di chemioterapia rossa, avrebbe dovuto stare in luoghi chiusi e protetti. Ciò non avvenne e Carmen presentò la prima denuncia.
Nel 2021 rifece la visita aziendale, presentò ancora una volta i certificati di idoneità con le limitazioni del caso, e le veniva accettata l’integrazione.
Arriva il 2022 ma succede qualcosa di “strano”.
Alla presentazione della stessa documentazione aggiornata, le dissero che per rientrare in ufficio avrebbe dovuto chiedere trasferimento al direttore, cosa che Carmen fece, ma fino al giorno in cui avrebbe dovuto prendere servizio non aveva ancora nessuna notizia, e informandosi presso gli uffici territoriali, le riferirono che non era giunta alcuna comunicazione e che se avesse voluto iniziare a lavorare, avrebbe potuto farlo recandosi in un cantiere all’altezza di 1.800m sull’Etna, cosa che Carmen, date le sue precarie condizioni fisiche, non poteva fare perché impossibilitata a percorrere quella distanza e a non poter svolgere lavori manuali pesanti.
Carmen chiese ai suoi superiori di mettere nero su bianco l’assunzione di responsabilità, nessuno lo fece e fu obbligata a mettersi in malattia.
Carmen subì ancora di più, il 15 giugno di quest’anno venne licenziata senza alcun preavviso, e tramite il suo avvocato scoprì che era stato falsificato un certificato che ne avrebbe giustificato il licenziamento. Non ci fu altra documentazione se non tre giorni di assenza non giustificata ma in realtà Carmen, proprio il terzo giorno, mandò una e-mail motivando le sue assenze, con tanto di direttore d’azienda che si è prestato a giurare il falso.
Carmen è una tosta, una dura, una che per amore del lavoro non abbassa la testa e vive con 620 euro al mese di cui 350 vanno via per l’affitto e il resto per le visite medico-specialistiche, e anche se è stata danneggiata non solo economicamente ma anche psicologicamente per il quale è caduta in uno stato ansioso, tiene dritta la schiena e va avanti anche quando, il 29 luglio, rivolgendosi alla Commissione SPRESAL, mantenne viva la speranza di poter riprendere a lavorare ma questo non avvenne e le troncarono ogni aspettativa.
Carmen ha subìto altro, perché oltre agli episodi di mobbing regolarmente denunciati, ha subìto anche episodi di molestie sessuali che non denunciò perché si è trovata sola e abbandonata anche dalle Istituzioni che avrebbero dovuto proteggerla.
Carmen, lei ha trovato la forza e il coraggio di denunciare, ha partecipato a molti seminari e convegni per raccontare la sua storia, la sua testimonianza.
Sì, il mio impegno nasce dal pensiero che unite si può combattere la violenza di genere. Mi rivolgo alle persone, affinché non diventino future vittime, dicendo stare attente ai primi campanelli d’allarme: il controllo del telefono o del computer come nel mio caso, gli atteggiamenti aggressivi, la gelosia esasperata, i pedinamenti, le minacce, le persecuzioni.
Lei è vittima del reato non solo di stalking ma anche di mobbing.
Ho denunciato alle autorità competenti, non ho mai fatto vittimismo e non ho mai speculato su quanto accaduto, mi riferisco alla salute fisica in seguito alla mastectomia bilaterale per la quale ho fatto cicli di chemio rossa. Con la schiena dritta mi sono rialzata anche questa volta e ho chiesto di poter lavorare, ovviamente devo stare in luoghi protetti e non posso svolgere mansioni e lavori pesanti. Ho ottenuto un licenziamento in tronco con un certificato falso e le scuse di “assenza ingiustificata” quando avevo giustificato la mia assenza tramite mail.
Carmen, cosa è cambiato, come va la sua vita oggi?
La mia vita è oggi un po’ più serena, ho un compagno che è una persona eccezionale, nutriamo entrambi reciprocamente sentimenti di amore, rispetto e stima. I miei figli, oltre all’amore materno, rappresentano la forza che mi ha spinta ad andare avanti e trovare il coraggio di parlare e denunciare. Manca il lavoro, ma tengo la schiena dritta e lotterò ancora.
Se la sente di rivolgere un appello?
Il mio appello lo rivolgo alle Istituzioni affinché non ci abbandonino al nostro destino, nessuno dimentichi che siamo vittime di reati gravi, facendoci sentire ancor più sole e abbandonate, quando il dovere civico e morale dovrebbe essere quello della tutela dei lavoratori, delle fasce deboli e protette.
Alle donne, e in generale a chi è vittima di qualsiasi tipo di violenza fisica, dico che dobbiamo trovare sempre la forza e il coraggio di denunciare ogni tipo di abuso. Far gruppo si può, ci sono tante associazioni, sportelli antiviolenza che danno sostegno a donne con questo tipo di difficoltà, fornendo anche orientamenti legali. La condivisione della propria esperienza è già un passo avanti verso l’emarginazione e l’isolamento a cui spesso ci si sottopone.
Fermare la violenza si può.
Rosalba Pipitone