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sabato, Novembre 23, 2024

Francesco Lena, vittima dell’Antimafia e del Sistema Saguto

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È del 20 luglio 2022 la sentenza della Corte d’Appello di Caltanissetta, presieduta dal giudice Marco Sabella, che condanna Silvana Saguto, ex Presidente della sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo, a 8 anni e 10 mesi per aver gestito in modo clientelare, in cambio di denaro e favori, le nomine degli amministratori giudiziari dei patrimoni sequestrati e confiscati alla mafia; nello specifico, il reato contestato alla Saguto, radiata dalla magistratura dal Csm nel corso del processo, sono corruzione, concussione e abuso d’ufficio.

Nelle 1.214 pagine delle motivazioni di condanna recentemente rese note, oltre a esser stato confermato il “sistema Saguto”, si legge che la nomina dell’amministratore giudiziario Gaetano Cappellano Seminara, condannato a 7 anni e 7 mesi, “prescindeva da ogni valutazione circa la convenienza e l’opportunità per la realizzazione dei fini propri della procedura e si inseriva, invece, nell’ambito del rapporto di scambio di utilità intercorso tra il magistrato ed il professionista” e che “la principale fonte di reddito di Lorenzo Caramma (ingegnere, condannato a sei anni e due mesi, N.d.A.), coniuge del magistrato, negli anni dal 2006 al 2015, siano stati proprio i compensi corrispostigli da Cappellano Seminara, quale sia libero professionista che amministratore giudiziario”.

Il presidente della Corte d’Appello di Caltanissetta, scrive anche che la Saguto aveva uno “spasmodico desiderio di assicurare alla propria famiglia un tenore di vita molto più elevato delle proprie possibilità” e il collegio ritiene che siano state commesse “plurime condotte illecite, finalizzate, a vario titolo, allo scambio di utilità, per lo più di carattere economico, ma non solo, attraverso una sorta di mala gestio delle dette procedure, in cui gli unici interessi perseguiti erano quelli, prettamente egoistici e personali, di trarre quanto più profitto possibile dalla liquidazione delle parcelle e onorari agli amministratori e ai loro coadiutori”.

Tutto è bene ciò che finisce bene? Certamente la Magistratura ha fatto il suo corso… paradossalmente sulla Magistratura!  E ha reso in parte giustizia e onore a quelle aziende vittime del “Sistema Saguto” che avrebbero dovuto essere salvaguardate nella continuità e nello sviluppo economico da chi rappresenta lo Stato, piuttosto che aver perseguito interessi economici personali, come quanto accaduto all’impresa dell’ingegnere Francesco Lena, l’Abbazia Santa Anastasia S.p.A.

Nell’ambito dell’inchiesta “Mafia e appalti” della DDA di Palermo, il 10 giugno 2010 Lena veniva arrestato e nel provvedimento di custodia cautelare siglato dal G.I.P. Maria Pino si legge che Lena “avrebbe attivamente svolto un ruolo di costante punto di riferimento di vari uomini d’onore di spicco e capi di Cosa Nostra”, rivestendo così “un punto di riferimento” per la “fittizia intestazione di beni”.

Inizia così il calvario dell’ingegnere Lena considerato prestanome al soldo delle cosche mafiose capeggiate da Bernardo Provenzano, che subisce anche l’onta della cultura del sospetto quando il sindaco di Castelbuono Mario Cicero comunica di “aver inviato il segretario generale del Comune ad adottare i provvedimenti amministrativi necessari per revocare la cittadinanza onoraria all’ing. Francesco Lena”.

Nel luglio del 2011 inizia il processo con rito abbreviato davanti al G.U.P. Luigi Petrucci; due mesi dopo il P.M. Nino Di Matteo chiede la condanna a nove anni di reclusione e la confisca dell’azienda; a novembre Lena viene assolto da tutti i capi di imputazione “per non aver commesso il fatto”.

Ma il 27 novembre 21012 il Procuratore Generale della Corte d’appello di Palermo Mirella Agliastro, nella requisitoria chiede di condannare Lena a dieci anni per associazione mafiosa o, in subordine, a cinque anni e sei mesi per intestazione fittizia aggravata dall’agevolazione mafiosa.

Nel febbraio 2014, Lena viene assolto definitivamente dalla seconda sezione penale della Corte di Cassazione da tutte le accuse e solo il 14 gennaio 2021 la quinta sezione della Corte d’appello ha confermato il dissequestro dell’Abbazia Santa Anastasia e delle società di Lena, avendogli precedentemente riconosciuto una somma di poco più di cinquanta tremila euro per ingiusta detenzione.

Una pittoresca fantasia nel caso giudiziario di Lena, attraverso cui i P.M. provarono a etichettare come frutto di riciclaggio le sue fortune che aveva realizzato con i conventi e gli ospedali oncologici costruiti per i Padri rogazionisti, opere pagate con assegni dello IOR per circa 80 miliardi da cui proveniva la ricchezza e non dal riciclaggio mafioso. Gli assegni c’erano, i periti della Procura non li videro, o fecero finta di non vederli.

Il caso giudiziario di Lena, vittima dell’Antimafia e delle ferite del “Sistema Saguto”, non è, purtroppo, isolato. A volte rimangono solo macerie da ricostruire, polvere tra le mani, oltre le ingenti spese legali affrontate con uno Stato più di traverso che a fianco degli imprenditori e dei lavoratori.

Sono storie grottesche degne del teatro dell’assurdo, fatte storture e di errori e giudiziari che un’assoluzione e la restituzione del bene confiscato, anche se restituiscono in parte l’onore, non segnano la via per il riscatto imprenditoriale e civile.

Rosalba Pipitone

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