Non può non emozionare, la scena di quando, in Un Espresso al Café Guerbois a Paris, il protagonista, Alessandro Costa, amante della pittura, frequentatore di musei di tutto il mondo e cultore dell’impressionismo francese, rimasto solo, la moglie è mancata da qualche anno e il figlio, ahimè, quando frequentava la terza elementare, si ritrova nel café parigino: una fitta nebbia lo avvolge, si apre uno squarcio illuminato da una luce fortissima e gli appaiono loro due. Il bambino gli porge un pacchetto regalo, lo pone sul tavolo e quello, da solo, pian piano, si svolge e Alessandro si trova proiettato nei tempi a lui tanto cari: quelli della Belle Époque. Ai tavoli attorno, in quell’incontro senza tempo, scorge Van Gogh, Matisse, Degas, Manet, Renoir, Gauguin, Cézanne e altri che ha sempre ammirato. Tutti lo salutano come un vecchio amico, un collega, uno di loro. C’è anche Toulouse Lautrec, assieme a tre signore scollacciate; lo invita al suo tavolo, ma Alessandro «Excuse-moi, ce n’est pas possible.» e se ne va con la moglie e il bambino, tenendosi per mano, lungo una strada leggermente in salita, immersa nell’azzurro. Se ne vanno, tutti e tre, per scomparire per sempre dalla vista del mondo. In tutti, ma in nessuno come in questo libro, Borgatti dà spazio alla cultura: inseriti in molti dei racconti, si trovano brevi, ma gradevoli cenni, che si agganciano con la pittura o con la letteratura o con la storia. Di quelli, se ne serve per commuovere, per condurre al sorriso o per fare semplicemente pensare, rendendo i suoi scritti piacevoli e attuali, anche fra cinquant’anni. Credo che Il Magico Natale del Giudice e altre Storie sia il più bello, dei quattro libri che ha pubblicato, durante quello che chiamerei periodo giallo, il colore del sole, da quando cioè, lasciato il nord, si è trasferito in Sicilia. Abile inventore di storie brevi, intense e folli, Enrico Borgatti ama l’irreale, l’impossibile, l’assurdo e il poeticamente surreale e lo affronta attraverso il suo immaginoso mondo, fatto di racconti per sorridere, commuoversi e pensare, che lo pongono tra gli attuali talenti letterari. Il suo genere non sono le storie di vita, ma spesso le sfiora, talvolta le affronta e, con la massima facilità, passa, nel medesimo racconto, dal reale al surreale. Lui assicura di amare di più i racconti umoristici, di divertirsi maggiormente a scriverli, forse, con quelli, si sente di godere di una certa unicità, io non saprei, lo trovo ugualmente interessante sia quando fa sorridere che quando fa pensare o quando commuove. Pure questo è il classico libro anche per non lettori: lo stile di scrittura accurato, ma facile e scorrevole, come per i precedenti, fa dire «L’ho letto tutto d’un fiato». E lo fa diventare un libro strenna, un simpatico ed economico regalo, ottimo, in occasione delle festività di fine anno: il primo o secondo racconto è sempre ispirato al Natale o al Capodanno. È una formula che si è inventato lui, o il suo editore, non so. Di questo libro, il primo racconto è vissuto tra il 24 e il 25 dicembre: ne è protagonista uno sfortunato e simpatico Giudice, la storia è dapprima triste, poi dolce, talvolta fa sorridere e termina come in una bella favola.